Bittersweet Life

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Federico™
view post Posted on 14/4/2008, 12:36




Sun-woo è il direttore di un prestigioso hotel, ma svolge anche il ruolo di fedele braccio destro di un boss della mafia sud-coreana, Kang, che gli chiederà di sorvegliare la propria fidanzata in modo da accertarsi se lei sia infedele. Sun-woo scoprirà che la giovane, Hee-soo, tradisce il boss, ma non avrà la forza per uccidere lei e l’amante.

Dopo aver sondato il terreno horror con l’apprezzato “A tale of two sisters”, il regista coreano Kim Ji-woon porta sul grande schermo una sceneggiatura, da lui stesso scritta, che s’inserisce a pieno titolo nel cinema di “genere”. In particolare cerca di sondare quell'abisso di passioni incontrollabili che vanno sotto il nome di vendetta, tema caro al cinema in generale e molto sentito, a quanto sembra, nella penisola coreana.

Presentato in concorso al 58° Festival di Cannes, il film ha indubbiamente il suo punto di forza nella raffinatezza estetica e nella fotografia. Sin dalle inquadrature iniziali, in cui vediamo Sun-woo cenare all’interno di un ristorante chiamato “La dolce vita”, per passare al dialogo con il boss Kang, in cui il regista utilizza un particolare campo e controcampo, per arrivare alla violenta sparatoria finale, quello che è certo è che questo film è stato girato da un virtuoso della macchina da presa, e guardarlo è una gioia per gli occhi. Certo, in tutto questo tripudio estetizzante il rischio è che si perda l’anima, e il paventato rischio in effetti si è realizzato, dato che la sceneggiatura non fa nessuno sforzo per approfondire i personaggi i quali, più o meno tutti, possono ricadere all’interno delle solite vecchie categorie (il vendicatore, il cattivo, la bella). Non bisogna però preoccuparsi troppo, perché in questo caso la storia riveste un ruolo tutto sommato secondario, e il momento chiave dell’intera vicenda, quando Sun-woo, attraverso la giovane fidanzata del boss, capisce che la sua esistenza, fino ad allora considerata dolce (sweet), è in realtà solitaria e amara (bitter), è reso in maniera asciutta, senza troppi eccessi. Tagliato questo nodo gordiano attraverso una scrittura lineare e chiara, il regista-esteta torna a farla da padrone, con un crescendo finale di rara potenza e impatto visivo.

“Bittersweet life” sembra prendere spunto dai film di Tony Scott “Man on fire” e “Revenge” (1990), con la capacità però di aggiungerci qualcosa in più, e cioè l'estetizzante visione registica di Kim Ji-woon. Una pellicola che potrebbe essere ricordata come un punto d’incontro tra la cinematografia orientale e quella occidentale, ma sarebbe un peccato, perché è, prima di tutto, un gran bel film.
 
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